Nel Duomo di Spilimbergo Pilacorte ha modo di esprimere compiutamente il senso tridimensionale della sua plastica nel contesto di uno spazio misurato e misurabile, scandito dall’arco trionfale e di scolpire alcuni capolavori. In questo splendido Duomo, fondato nel 1284 e dipendente dalla pieve di Travesio, fortunatamente ben conservato, si possono ammirare anche altre importanti testimonianze dell’opera dei maestri comacini: già nel 1376 il primo lapicida proveniente dalla Lombardia documentato in Friuli, Zenone da Campione, aveva scolpito il portale nord del Duomo stesso, avvalendosi della pietra giallina delle vicine cave pedemontane, e varcando proprio questo portale settentrionale incontriamo un Fonte battesimale oggi usato come Pila dell’acquasanta (c. 1466) che tale “ Maestro Giorgio” realizzò per il Duomo di Spilimbergo fissando in loco, e desumendolo da esempi veneti, in particolare ci si riferisce al fonte di San Giovanni in Bragora a Venezia (ca 1430-1440) il prototipo del fonte. Si tratta di un catino marmoreo costolato, sorretto da paffuti puttini alati attorno al fusto, sciolti nei loro avvitamenti e contorsioni, in una sorta di giocoso girotondo, la cui presenza, unitamente all’impianto ottagono del fusto e della base, inequivocabilmente ribadiscono la simbologia e quindi funzione liturgica del manufatto. Infatti la sua posizione vicina a un ingresso e dalla parte dove si legge il Vangelo, quindi a sinistra, la presenza del monogramma cristologico dell’invaso e la forma ottagona, riferibile all’ottavo giorno della creazione, che inizia con la Resurrezione del Cristo, rimandano nella simbologia al rito del battesimo, così come il tema del putto, simbolo di ri-nascita che dalla classicità transita nell’arte rinascimentale: si tratta di una premessa questa fondamentale per comprendere il significato simbolico dei fonti battesimali del Pilacorte.
In duomo Pilacorte risulta qui attivo con varie opere e in più occasioni, a partire dal 1480: oltre alla realizzazione dei due Amboni, definisce con arconi a tutto sesto l’altare di San Giovanni Battista (ora Sant’Andrea), la cappella del Carmine (1498) e il cui altare, sempre di sua mano, in antico ospitava la pala di Giovanni Martini (1503 ca.). Qui Pilacorte interviene delimitando lo spazio con un’ampio arco d’ingresso, alla cui base si legge la firma e la data 1498, che anticipando la tipologia del portale per il Duomo di Pordenone, è sormontato da un Cristo passo tra due angeli, con una balaustrata a colonnette arricchita alle estremità laterali da quattro busti con angeli reggicandelabro, figure particolarmente definite nell’espressione infantile, assorta e composta, le cui eleganti vesti sono percorse da un ritmico tenue panneggio e i boccoli della capigliatura disposti in file ordinate, che bene si confrontano con quelle scolpite da Tullio Lombardo nel coro pensile di Santa Maria dei Miracoli a Venezia.
Lungo la navata settentrionale l’altare di Sant’Andrea (post 1501) si distingue per la ricca e articolata decorazione con scene dall’antico testamento lungo la base (Giuditta, Sacrificio di ovini, Sacrificio di Isacco e Roveto ardente), scene riferibili alla vergine Maria, cui in antico era dedicato l’altare: all’imposta del pilastro destro si legge la scritta “CECROPS”, interpretata come un richiamo all’essere mitico e del primo re di Atene, mentre compare tra i mascheroni e le creature simboliche bifronti anche un triplice volto accompagnato dalla scritta “FOELIX V(ale) F(oeliciter)”, composto da tre diversi sembianti, a indicare una triplice divinità (assimilabile all’allegoria del Destino, o della Prudenza, ma anche alla Trinità) indizio della complessità della sua cultura umanistica e classica del Pilacorte, ben inserita in un centro di vivace cultura umanistica e classica come Spilimbergo, cultura che si incontra nella sua opera con la dottrina cristiana, in un dialogo che poi verrà interrotto dalla Controriforma.
Il fonte battesimale (1492-93) sicuramente tra i più riusciti, introduce un nuovo senso del “grottesco” e del mistero, con quattro busti di sfingi alate alla base, dove due volti femminili si alternano a due maschili, uno barbuto, volti nei quali Pilacorte ha modo di rivelare la sua attenzione per la ritrattistica: la sfinge è una presenza ricorrente nell’iconografia del tempo in quanto trapassa dalla classicità al Rinascimento, facendo riferimento nel suo significato simbolico a Cristo: la sfinge, oltre che essere custode del sacro, infatti conosce il mistero della natura umana e divina del Cristo. Nella decorazione Pilacorte manifesta tutta la ricchezza dei suoi apparati decorativi, nell’intaglio dei fregi classicheggianti, e nella fascia a motivi vegetali e fitomorfi, metafora dell’albero della vita del Paradiso terrestre cui il battezzato può nuovamente attingere, che corre intorno alla vasca: molti altri esempi elaborarono successivamente questi motivi, in forme più o meno complesse e figurate.
Sempre restando in area spilimberghese, a Provesano si conserva un’acquasantiera (1497) a coppa costolata e protomi leonine alla base del fusto, anch’essi simboleggianti il Cristo-leone, di tradizione romanica, mentre cherubini dai volti espressivi li ritroviamo a scandire ritmicamente lo spazio nella strombatura degli stipiti del portale della Chiesa di San Marco a Gaio di Spilimbergo (1490), percorso da una raffinato repertorio decorativo, che va dal motivo plastico della catena al sottilissimo bassorilievo delle candelabre, tra complesse simbologie, sotto l’ala protettiva di un leone di San Marco ripiegata come un cartiglio. Sull’architrave della porta si legge l’epigrafe “Aloysio Caii Domino hanc aedem incolae statuerunt Sancto Marco Loci genio MXD” (Ad Alvise di Spilimbergo, signore di Gaio gli abitanti dedicarono questa Chiesa essendo San Marco patrono del luogo, 1490). Più sotto si legge “OPERA DE JOHANNE ANTONIO PILACORTE HABITANTE IN SPILIMBERGO 1490 14 OTTOBRE”. Per la cronaca, “Spilimberghese” Pilacorte si firma anche sul bordo della coppa di un’acquasantiera a calice, in tondo, nello spessore del bacino: BONIS DEI MAX. AUSPICIS-1496-MANUS JO, ANTONII PILACHORTI SPILIB, proveniente da Santa Maria della Bevazzana, già sulla sponda sinistra del Tagliamento.
E per rimanere invece sulla sponda destra del Tagliamento, in corrispondenza dell’antica via dei pellegrini, Romea Allemagna, a Pilacorte spetta anche il portale di Santa Maria dei Battuti a Valeriano, che verrà affrescata di lì a qualche decennio dal Pordenone: il portale architravato è composto da due stipiti decorati a candelabre con motivi fitomorfi, e sormontato da un archivolto che molto probabilmente era decorato da statue alla base e al sommo o anche all’interno e su cui si legge la data “1499.ADI. DE. MAZO”
Al 1493 risale anche il portale della Chiesa dei Battuti a San Vito al Tagliamento, archivoltato come quello di Travesio ma completato da una lunetta con una lastra in cui è scolpita una Madonna della Misericordia, tra cherubini, e ai lati dell’archivolto l’Angelo annunciante e la Vergine, sovrastati dal Padre Eterno, mentre nei pilastri decorati a candelabre compaiono lateralmente patere con le figure di Santi Vito e Modesto, secondo una modalità che ritroviamo in altri suoi portali,
La concorrenza con la scuola tolmezzina dell’intaglio, grazie al prezzi più bassi e all’impiego di dorature e colori per ravvivare la pietra bianca delle cave pedemontane, porta lo scultore e la sua bottega a elaborare anche vere e proprie “ancone” o pale d’altare in pietra, secondo la tradizionale articolazione a trittico, ovvero a tre scomparti sormontati da una lunetta con stipiti e architrave fittamente decorati a motivi fitomorfi, come nel caso della Madonna con bambino tra Santi, in San Nicolò a San Giorgio della Richinvelda (1497). tra le più impegnative e monumentali ancone del Pilacorte, l’altare a trittico composto per la chiesa di San Odorico a Villanova di Pordenone (1520), che si relaziona con l’altare per la pieve di San Martino e come quello testimonia la presenza di decorazioni policrome, una delle sue ultime opere certe.