La vera e propria ondata migratoria formata dai cosiddetti maestri comacini, proveniente dai territori che si affacciano tra i laghi di Como e di Lugano, attivi come costruttori, muratori, stuccatori ed artisti, solidamente raggruppati in una corporazione di imprese edili itineranti, dopo essere approdata massicciamente a Venezia verso la metà del Quattrocento per esercitarvi il loro antico mestiere nei grandi cantieri della Serenissima, alimentò a più riprese la cultura artistica veneziana estendendo la sua influenza alla terraferma e quindi anche al Friuli
Nomi di architetti e scultori come Codussi, i Lombardo, e più tardi Sardi, Longhena, Domenico Rossi, tutti di nascita lombarda, o anche il pittore Giulio Quaglio, proveniente dalla val d’Intelvi, furono protagonisti dell’arte e dell’architettura veneta tra Quattrocento fino a tutto il Settecento, e non solo, in quanto gli scultori lombardi nel primo cinquecento furono attivi in tutta Italia dalla Sicilia a Roma. Su committenza papale operarono maestri come Carlo Maderno, proveniente da Bissone come del resto Francesco Borromini, e lombardi erano anche anche i Quarenghi attivi a Pietroburgo o i Fossati a Costantinopoli, dove assicurarono la saldezza di Santa Sofia.
Questa ondata di maestranze che tra Quattro e primo Cinquecento andava diffondendo la cultura antiquaria e un nuovo approccio naturalistico alla statuaria presto raggiunse anche il Friuli, ponendosi al centro delle principali imprese monumentali e di renovatio -a partire dalla tribuna magna e dal ciborio della Basilica di Aquileia- che animavano i principali centri del territorio friulano da Cividale a Udine, da Spilimbergo a Pordenone.
Portali, balaustre, statue, acquasantiere, fonti battesimali, dove la pietra si anima di raffinate ornamentazioni di ispirazione classica dando vita a figurazioni a tutto tondo di sodo plasticismo, sono i cavalli di battaglia di queste maestranze che vanno sostituendo ovunque al gotico fiorito la nuova misura rinascimentale, e all’arco trilobato la solennità dell’arco a tutto sesto, ma anche scolpendo altari, spesso colorati, per fare concorrenza a quelli lignei degli intagliatori tolmezzini, magari abbassando un po’ i prezzi, per andare incontro alla devozione dei committenti, per lo più confraternite e camerari, cui si affiancano anche famiglie giurisdicenti del luogo, come nel caso dei potenti Savorgnan, o dei signori di Spilimbergo.
Forti di una tecnica e di un mestiere che prevede una formazione di bottega e adeguata strumentazione, di una ferrea organizzazione corporativa e di un collaudato fraterno sodalizio, questi lapicidi non temono l’impatto del loro scalpello anche con la pietra meno dolce, esaltando tutte le potenzialità di un materiale che si trovava in abbondanza lungo le cave pedemontane, in particolare nella destra Tagliamento, tra cui la pietra di Travesio, un calcare che ancora alimenta la Cava “Spessa” in località Pradis di Sotto, oggi nel comune di Clauzetto.
Verso fine Quattrocento emergono varie personalità e spicca, in Friuli, il nome di Bernardino Gaggini da Bissone “maistro spizapiera” che nel portale e nella tribuna magna della Basilica di Aquileia (1491 c.), dove lavora accanto a Sebastiano e Antonio da Osteno, del lago di Lugano, introduce il gusto per un’architettura impostata sull’arco trionfale e su apparati decorativi pienamente rinascimentali, caratterizzata dalle “candelabre” di stretta derivazione classica, con panoplie, sfingi, armature, lunette a conchiglia, bassorilievi che corrono lungo gli stipiti composti da tralci vegetali ricchi di elementi fitomorfi, in cui spicca la vite, festoni, animali simbolici quali il pellicano e la fenice, e uccelli di ogni sorte. Bernardino si distingue per un intaglio finitissimo, come nel portale di Tricesimo, sormontato da una lunetta con la conchiglia, e lo ritroviamo attivo anche a Venzone, a Tricesimo nel portale e nelle sculture per la Chiesa di S. Maria nonché a Udine, dove realizza il portale per la chiesa di san Cristoforo. Sempre a Udine è attivo anche Bernandino da Morcote nella Loggia di San Giovanni a Udine, e a Cividale lo stesso Pietro Lombardo venne chiamato da Venezia nel maggio del 1502 a dare un parere sulla facciata del Duomo di Cividale dove, chiamato dai fabbricieri a dirigere i lavori del costruendo edificio, quale proto era stato incaricato Giovanni Antonio Bassini, detto il Pilacorte, il vero protagonista del rinnovamento del gusto in direzione classicista e rinascimentale nel territorio del Friuli occidentale, e non solo, in virtù delle molteplici relazioni intrecciate sul territorio friulano.