Alfonso Canciani e Ceconi di Montececon

Alfonso Canciani fu tra i principali protagonisti della scultura sulla scena artistica viennese, dove si era affermato grazie al famoso Gruppo dantesco vincitore nel 1896 del Rompreis e del Künstlerpreis, guadagnandosi l’ingresso alla Secessione di Gustav Klimt, nella cui sede di Vienna costruita da Olbrich l’opera venne esposta nel 1900.

Una variante della figura di Dante, in marmo, venne collocata pochi anni dopo sulla facciata del castello che il conte impresario Giacomo Ceconi si era costruito nella terra d’origine, a Pielungo. Qui di certo le quattro statue scolpite da Canciani su commissione di Giacomo Ceconi, ovvero Dante, Ariosto, Petrarca e Tasso, additarono la passione per la scultura all’ ultimogenito del conte, Mario.

Grande infatti era la stima che Ceconi nutriva per Canciani: nello stesso 1906 infatti gli aveva commissionato il fermacarte in bronzo a ricordo dei lavori del traforo del Wochein terminati nel 1904 e solennemente inaugurati dall’erede al trono Francesco Ferdinando nel 1906, che lo scultore aveva risolto ricorrendo a una sua tipica figura di minatore seduto, con gli attrezzi appoggiati a terra, e poco lontano uno spuntone di roccia affiorante sulla liscia base rettangolare (V. Chiandotto, La favola diventa realtà. Giacomo Ceconi impresario e conte, Pordenone 2010, 63): si tratta di una scultura antiretorica che si affianca a un’altra opera, un po’ più ridondante, dove su una base che simula la pietra, decorata col medaglione recante il ritratto di Ceconi, si erge l’ingresso al tunnel terminante con una figura seduta. Ceconi aveva chiesto a Canciani anche di ricordare con un ritratto il figlio Umberto, suicida nel 1899 a soli ventisei anni per debiti di gioco nella dimora che il conte si era costruito a Gorizia. Canciani e Ceconi sono affratellati da un successo duramente conquistato col lavoro e il sudore, lontano da casa: i lavoratori di Canciani sembrano incarnare, fuori dal mito e nella loro profonda umanità, proprio la dimensione eroica dell’homo faber, quell’esaltazione dell’etica del lavoro che da scalpellino aveva portato Canciani alla ribalta della scena artistica, una dimensione che l’artista condivideva con il mito del costruttore incarnato nella figura di Giacomo Ceconi, da manovale elevato al rango di conte per meriti sul lavoro, ovvero all’insegna del motto Ehre den Arbeitern!! Onore ai lavoratori, coniato sulle medaglia ricordo del traforo dell’Arlberg, prima epica impresa di Ceconi.

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