LAETATUS SUM IN OMNIBUS OPERIBUS OB SOLECITUDINEM JO. ANT. PILACORTE MCIII

Da Carona, sul lago di Lugano, luogo di provenienza di moltissime botteghe famigliari di lapicidi approdati a Venezia e dove era nato verso il 1455, Giovanni Antonio Bassini si stabilisce a Spilimbergo dal 1484 circa: d’ora in poi sarà universalmente noto come il “Pilacorte”, appellativo comune (toponimo e patronimico) a molti altri lapicidi suoi conterranei, diventando il più attivo e noto scultore rinascimentale in Friuli. A Spilimbergo, al tempo centro culturale in pieno rinnovamento edilizio, e a portata delle cave di pietra pedemontane, come Clauzetto, Meduno e Travesio, in grado di soddisfare con la loro pietra “dura” le esigenze dell’abile tecnica degli scultori lombardi, scelse di portare la sua famiglia, la moglie Perina, sua conterranea, impiantando il suo primo laboratorio friulano presto animato dalla presenza di collaboratori e allievi. Rimasto vedovo, nell’ultimo periodo della sua vita Pilacorte si trasferisce a Pordenone dove è documentato dal 1506 fino al 1531, anno in cui, il 21 novembre, fece testamento. Vive presso la figlia Anna, sposa a Donato Casella, stretto collaboratore del padre nell’ultima fase della sua opera, e probabilmente accanto anche al figlio Alvise, o Aloisio, animando ovunque aprisse un cantiere una florida e attivissima bottega famigliare che continuò anche attraverso i nipoti.

Pilacorte orgogliosamente firma e data le sue opere “ JO. ANT. PILACORTE” con un bel carattere “tondo” in stile epigrafico, anche siglandole con un marchio a forma triangolare, ad imperitura memoria nella pietra bianca,assicurandosi una fama crescente e facendosi protagonista della diffusione di un nuovo gusto caratterizzato da un’impronta classica pienamente rinascimentale nelle tipologie e nei repertori, da estrosi apparati decorativi a partire dal motivo a candelabra. La sua capacità di adattamento a molteplici esigenze e committenze lo porta a impiegare registri espressivi diversi, in forza appunto di una organizzatissima bottega, catturando l’ attenzione e anche la simpatia dei più con la profusione dei suoi caratteristici puttini paffuti che ovunque, dai pilastri e da sotto le fonti battesimali, in schiere festanti sbucano impertinenti dal suo instancabile scalpello, insinuandosi tra stipiti, colonne e capitelli.

Metà eroti e metà angioletti, spesso musicanti, i putti di Pilacorte personificano quella doppia natura classica e cristiana che caratterizza l’iconografia rinascimentale, cui si affiancano conquistandosi uno spazio tra i dettagli architettonici presenze ambigue tra uomo, vegetale e animale, draghi, tritoni e tritonesse, sfingi, creature di carattere metamorfico e mostruoso evocate da un immaginario di ferina paganità offrendo sempre nuove soluzioni decorative e soprattutto nuove suggestioni iconografiche, come ad esempio nella simbologia e nelle citazioni classiche inneggianti Cecrops presenti nell’altaristica del duomo di Spilimbergo, e soprattutto approdando a sorprendenti esiti plastici ed espressivi, come nel Cristo passo e nella singolare concezione figurativa e iconografica del portale per il Duomo di Pordenone, osando infine la misura di una monumentalità architettonica nel suo ultimo capolavoro, l’altare della pieve di san Martino tra Vito d’Asio e Clauzetto.

Infaticabile artigiano e a volte dunque anche vero artista, come documentato dalle opere a lui riferibili che ancora si conservano in terra friulana nonostante i rimaneggiamenti delle chiese, degli altari, e i terremoti, Pilacorte è anche capace di improvvisi inaspettati scarti e invenzioni i carattere iconologico, e a tale proposito qui segnaliamo una tra le più suggestive figurazioni nate dal suo scalpello, e connesse a due fonti battesimali, uniche nel loro genere. In questo itinerario lo seguiremo passo per passo nei principali luoghi dove Pilacorte si fermò a operare, lasciando opere importanti da lui stesso scolpite e anche frutto della collaborazione dei tanti suoi aiuti, tenendo presente che molte delle sue sculture e dei suoi elementi architettonici, a seguito di rifacimenti e anche a causa di furti, sono stati smembrati, alle volte ricomposti e in molti casi dispersi. Un caso clamoroso è quello del Leone di San Marco che decorava la facciata del palazzo dipinto del Castello dei Spilimbergo, con l’arma del casato e la data 1490, e simile a quello sopra il portale della chiesa di Gaio: sottratto ed entrato nel mercato antiquario, è ricomparso tra le collezioni del Museo di Lyon, in Francia; meno fortunato il caso di un bassorilievo con la Pietà, attribuibile a Pilacorte, già a decoro della demolita chiesa di S. Francesco dei Cappuccini a Sacile, messa in commercio e oggi dispersa.