Paludea

CHIESA DI SAN CARLO
La Chiesa di San Carlo a Paludea, sorta su un precedente oratorio eretto dopo la metà del XVII sec., e in origine di proprietà della famiglia Lorenzini, venne riedificata dopo un lungo cantiere, inizialmente sotto la direzione di Domenico Chiaradia e quindi ultimata in stile neoromanico, su progetto datato al 1954 dell’architetto Giacomo Della Mea (Chiusaforte, 1907-Udine, 1968). La cella campanaria è posta sopra la sacrestia della chiesa, e la campana venne fusa nel 1925 da Giovanni Battista De Poli di Udine, a risarcimento dell’antica campana requisita durante la Prima Guerra Mondiale. Tra le opere che vi si conservano, la più parte proveniente dalla Chiesa di San Daniele a Collemonaco, due altari lignei di fattura barocca, uno dei quali datato 1668, intagliato da Francesco Pasiani, contenente una pala raffigurante La Madonna col Bambino tra San Floriano e San Biagio, e l’altro, assegnato a Giorgio Riegher, intagliatore attivo in loco a fine Seicento, con la Madonna col Bambino con San Daniele e San Nicolò. Sempre da Collemonaco proviene la statua lignea di San Floriano, dipinta di bianco, e la scultura in pietra raffigurante San Daniele benedicente e reggente un cartiglio, con due leoncini ai suoi piedi, il cui piedistallo originale indica, all’interno di un’iscrizione, la data del 1514, e i cui caratteri stilistici rimandano alla bottega del Pilacorte. Accanto a queste opere anche la statua della Madonna scolpita da Valentino Panciera detto Besarel (Astragal, 1829-Venezia, 1902).

Casa Tositti
Sul muro di un’abitazione poco lontano dalla chiesa (casa Tositti, via Paludea n. 99) si conserva, murata sul pianerottolo della scala esterna, una Madonna col Bambino in pietra, ad altorilievo, contro un fondale decorato a racemi, già collocata in un’ancona nella stessa piazza di Paludea. Di fattura pienamente cinquecentesca, la scultura traduce in forme devozionali la lezione del Pilacorte e della sua scuola, rimandando in particolare ai modi di Donato Casella, aggiungendosi alle tante testimonianze della loro opera e del loro gusto ben documentato nelle chiese della val Cosa.