Pielungo: Chiesa di Sant’Antonio

La costruzione della chiesa iniziò nel 1851 inglobando nel coro una preesistente cappella, e nel 1877 si diede il via al campanile ultimato solo nel 1895, ma già tra il 1899 e il 1905 per volontà di Giacomo Ceconi venne ampliata con un solenne pronao di gusto classico, sotto il quale una lapide collocata nel 1922 ricorda le benemerenze del conte-impresario. Ceconi la arredò completamente, dotandola di paramenti sacri, altari, fonte battesimale e pila dell’acquasanta, di confessionali e di massicci banchi di quercia d’Ungheria. Anche la chiesa di Sant’Antonio esprime dunque il mecenatismo e il gusto del conte, i suoi rapporti personali con le maestranze artigiane e con gli artisti, che improntano non solo le sue dimore, tra Graz a Gorizia, o lo stesso Castello di Pielungo e l’annessa chiesetta con la sottostante cripta di famiglia, abbattuta dopo il terremoto, ma anche accomunano negli arredi sacri S.Antonio con la Chiesa di Wocheiner-Feistritz, oggi Bohinjska Bistrica, prossima al cantiere del Wochein, cui il conte nel 1902 fece dono di altari, paramenti riccamente ricamati, di un labaro e di un lampadario in tutto simili a quelli tutt’oggi esistenti a Pielungo.

Lo stile neoclassico impronta l’architettura della chiesa, a tre navate inglobanti a sud la torre campanaria, precedute dall’ ampio pronao tetrastilo di ordine ionico, che si ripropone nella cantoria in controfacciata. Fortemente compromessa dal terremoto del 1976, che provocò lesioni alle murature col conseguente crollo della navata centrale, la Chiesa ha perso gran parte della decorazione originale ad affresco, e anche gli altari subirono gravi danni con scollamenti e caduta di parti, e quindi un lungo e paziente restauro tra il 1983 e il 1986.
Per gli altari, in stile neo-gotico, Ceconi si avvalse di maestranze toscane e di marmi di prima scelta rivolgendosi ai laboratori Nicoli e Beretta di Carrara e allo scultore fiorentino Cassioli: all’epoca titolare della famosa bottega di famiglia, tutt’oggi attiva e frequentata dai maggiori scultori del tempo, era Carlo Nicoli (Carrara, 1843-Belvedere di Avenza, 1915) formatosi all’Accademia di Carrara, di cui fu poi professore onorario. La morbidezza del trattamento del marmo, i soffici panneggi, i volti, oltre all’impronta verista stemprata da un accento stilizzante delle sculture, e soprattutto le due statue di angeli dai netti e sicuri profili delineati dalle lunghe ali, fanno pensare all’intervento diretto della mano dell’artista nel contesto della sua prestigiosa bottega.

L’altare maggiore è composto da una mensa sorretta da quattro coppie di colonnine in marmo rosso africano con basi e capitelli in bronzo dorato, che contornano un bassorilievo marmoreo raffigurante l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, fedelmente riprodotta, e due altorilievi raffiguranti San Giuseppe e San Giovanni Battista. Il tabernacolo è sormontato da un’ampia nicchia cuspidata, ad arco gotico, ornata da guglie e pinnacoli con fogliami, tra due splendide statue di Angeli adoranti, inginocchiati, le cui ali raccolte formano tese dal perfetto profilo lineare. Raffinate decorazioni con tralci di vite e spighe di grano corrono lungo i basamenti, giocando tra il bianco assoluto del marmo di Carrara e preziosi inserti in mosaico aureo, a piccole tessere.

L’altare dell’Immacolata addossato alla parete sinistra, la cui cromia è arricchita anche dal bianco dell’onice, da specchiature in verde italico della mensa oltre che dagli inserti musivi in oro e dalla decorazione bronzea, è dono della contessa Giuseppina Novak, ultima moglie di Giacomo Ceconi: sopra la mensa si eleva una struttura a trittico, con la statua della Madonna raffigurata secondo l’iconologia dell’immacolata concezione, tra cornici gotiche polilobate contenenti due bassorilievi in bronzo dorato raffiguranti Angeli in adorazione della Croce e del Santissimo con efficace tecnica dello “stiacciato” donatelliano. Il coronamento presenta nicchie contenenti statue bronzee degli Evangelisti e, nella parte superiore della cuspide centrale un Angelo con le ali spiegate. Ai lati della mensa le statue di San Giuseppe e di San Giacomo, in omaggio all’operoso conte. Le parti bronzee sono opera di Carlo Cassioli (Firenze, 1865-1942) autore della porta di destra della facciata di S. Maria del Fiore a Firenze, come noto ricostruita in stile neogotico dopo un intenso dibattito che occupò non solo gli accademici del tempo (1899-1903) e sicuramente all’epoca l’esempio più eclatante del restauro in stile neogotico.

L’altare di S.Antonio da Padova venne collocato lungo la navata destra nel 1906 come inciso sul lato sinistro “A RICORDO DELLA CRESIMA DELLA FIGLIA MAGDA 1906”: sulla mensa si erge la figura del Santo, entro una nicchia goticheggiante cuspidata sormontata da un angelo in preghiera reggente la croce, tra due bassorilievi marmorei raffiguranti scene dalla vita del Santo: il miracolo della mula digiuna da tre giorni che si inginocchia davanti all’ostia rifiutando la biada, e l’incontro tra il santo e il tiranno Ezzelino da Romano. Ai lati della mensa si elevano le statue di S. Floriano e di S. Barbara, quest’ultima particolarmente cara a Ceconi in quanto protettrice dei minatori, invocata a proteggere soprattutto l’opera dei tunnel scavati dall’impresa, Santa che il conte puntualmente festeggiava insieme ai suoi collaboratori ogni quattro dicembre.

La cantoria è decorata con tre bassorilievi in gesso trattati con un effetto di bronzo dorato, raffiguranti l’istituzione del canto gregoriano, re Davide che suona l’arpa e Santa Cecilia all’organo, opera di Giuseppe Querini, insegnante dal 1896 presso la Scuola professionale di Pielungo dove sotto la sua guida si formarono alle arti del disegno i futuri artigiani e costruttori nativi della valle. Sempre di fattura toscana sono il fonte battesimale ispirato al Quattrocento toscano, a forma di edicola a base esagonale e copertura a cupoletta sormontata dalla statua del Battista e l’ Acquasantiera con putto in bronzo, anch’essa suggestionata dalla plastica rinascimentale toscana e da Verrocchio.

Gli affreschi sono opera di Francesco Barazzutti (1847-1918) appartenente a una famiglia gemonese di decoratori emigrata nei paesi austroungarici, e attiva in particolare in Slovenia e Austria: lo zio Felice lavorava a Graz dove aveva aperto una bottega, e ben presto Francesco lo raggiunse, allineandosi con un linguaggio di tradizione nazarena, neobarocchetto ma sostanzialmente eclettico, decorando ad esempio il palazzo per appartamenti costruito da Giacomo Ceconi a Graz, lo Joannenhof, con candelabre e grottesche, ma anche a Badgastein e nel salisburghese. Soprintendente dei cantieri decorativi era all’epoca il pittore Leonardo Elia, fedele collaboratore di Francesco Barazzutti nelle imprese austriache e attivo per Ceconi sia nella villa di Gorizia sia nel castello di Pielungo. Rientrato in Friuli nel 1904, Francesco Barazzutti lavora molto per la committenza ecclesiastica e a Pielungo oltre che in castello Ceconi, intorno al 1905 è attivo a S. Antonio, dove decora il soffitto della navata maggiore con la Gloria di S. Antonio, distrutta dal terremoto, e nella parete destra dell’abside l’Ingresso di Cristo a Gerusalemme, anch’esso andato perduto negli anni Sessanta e sostituito con una scadente tempera. Dopo un accurato e complesso intervento di recupero conseguente al sisma del 1976, reso complesso dalla tecnica adottata, una sorta di “mezzofresco” molto più fragile di un vero affresco, rimangono nella volta dell’abside i quattro Evangelisti, nella parete sinistra laConsegna delle Chiavi, e dietro l’altare la Gloria di S. Giacomo, in omaggio al mecenate dell’intera impresa decorativa, e altre decorazioni lungo le navate minori.
La vita della famiglia Ceconi si svolse dunque insieme alla sua comunità in questa chiesa, e la mattina del 21 luglio del 1910, con la partecipazione dell’intera vallata, il corteo funebre del conte Giacomo, dietro il vessillo di Santa Barbara, giunse nella Chiesa parata a lutto, e quindi nella cappella da lui costruita presso il castello.

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