Un po’ di storia

La storia di questa comunità inizia da molto lontano, e prende forma con la nascita della pieve d’Asio, elencata nel più antico documento attestante l’organizzazione pastorale rurale nella Diocesi di Concordia, la bolla del 12 marzo 1186 con la quale Papa Urbano III riconosce e conferma al vescovo Gionata tutte le sue giurisdizioni civili ed ecclesiastiche tra cui la “plebem de Isonia”.
Il termine “Asio” attribuito alla pieve e alla sua comunità, compare nuovamente in documenti del XIII e XIV sec., e in particolare la pieve è nuovamente citata nel 1344 tra quelle contribuenti alle decime triennali a papa Clemente VI, mentre la Ecclesia Sancti Martini montis Asii viene nominata per la prima volta nel Catapano della pieve stessa (un codice in pergamena del primo Quattrocento purtroppo da qualche decennio non più reperibile), quando nel 1425 vi viene registrato un legato di due “stari” di frumento da parte di “Giovanni Vesutino”: uno per la celebrazione delle messe l’altro per il pane da distribuire ai fedeli in occasione della Pasqua.

Insieme a Santo Stefano di Valeriano, Asio era nella giurisdizione della pieve di Travesio, a sua volta filiata da Santa Maria di Calaresio- Montereale – il più antico centro pastorale della zona settentrionale e montagnosa della Diocesi- e in virtù dell’assegnazione del titolo di San Martino la sua origine verrebbe fatta risalire al periodo longobardo-carolingio (VIII-IX sec.), quando finalmente la pieve d’Asio si rese autonoma da quella di Travesio, pieve quest’ultima collocata lungo la strada pedemontana che da Montereale portava verso Valeriano dove incontrava la via diretta proveniente da Iulia Concordia per guadare il Tagliamento e congiungersi sopra Osoppo alla Iulia Augusta, diretta verso il Norico. Lungo vie di accesso coincidenti frequentemente con l’alveo di torrenti come il Cosa, è stato ipotizzato che, per sfuggire dalle incursioni ungaresche, le comunità dal piano risalirono al monte, come attestano i resti della più antica fase costruttiva della Chiesa di San Martino risalenti appunto al IX-X sec., messi in luce da uno scavo archeologico le cui risultanze tuttavia non escludono un’origine ancora più remota per tale insediamento.

Di fatto la giurisdizione della pieve di San Martino comprendeva tutta la valle dell’Arzino, corso che segnava il confine, tra il borgo di Pert fino alla confluenza col Tagliamento, con la pieve di Forgaria e quindi con la Diocesi di Aquileia, con cui confinava anche a nord, tramite le pievi di Cavazzo e di Verzegnis. A sud i confini invece erano delimitati dalle pievi di Travesio e Valeriano, e a ovest da quella di Tramonti. Durante l’alto Medioevo fino all’età moderna la pieve di San Martino mantenne intatta la sua unità territoriale, fino alla filiazione delle sue cappelle a partire da Vito d’Asio, nel 1890, Anduins, Pielungo e Pradis nel 1891, Casiacco nel 1897 e San Francesco nel 1943, mentre il suo pievano da sempre risiedeva, per comodità e maggiore vicinanza all’abitato, presso la sua più diretta filiale, la Chiesa di San Giacomo di Clauzetto.

Una storia dunque che inizia da molto lontano, e che si lega molto presto alle alterne vicende della famiglia Savorgnan e al castello di Pinzano di cui nel 1344 venne investito dal patriarca Bertrando Ettore Savorgnan, quindi alla figura di Antonio Savorgnan della bandiera, fautore della rivolta civile del 1511, la famosa zoiba grassa, che con l’invasione del Friuli nel 1509 si era compromesso con gli arciducali: accusato quindi di tradimento e ucciso nel 1515.

Una volta reintegrati nei loro possessi, tornati nelle mani dei nipoti Francesco e Bernardino, i Savorgnan continuarono ad applicare un regime di pesante sfruttamento delle popolazione “asine”, e insieme alle altre ville sottoposte alla loro giurisdizione, nel 1569 Clauzetto protestò con fermezza davanti al Luogotenente del Friuli per il trattamento “non come sudditi di Venezia ma come porci et schiavi”, a causa di balzelli, beni sequestrati e pesanti obblighi cui erano sottoposti, tenendo conto delle fatiche di un’economia di montagna, il cui “sforzo del viver consiste in laticini”. Uno sfruttamento arbitrario che si allentò a fine Seicento, con il trasferimento degli interessi e della sede del casato a Venezia, ma anche con l’affermarsi di famiglie di ceto borghese grazie alle attività commerciali, specialmente nel settore del legname, quali i Politi, i Concina, Fabrici, Brovedani, e soprattutto grazie al progressivo svincolo della proprietà dei terreni, in particolare a partire dagli anni Venti del Settecento da parte degli stessi Savorgnan che avevano deciso per la risoluzione delle rendite e il richiamo dei capitali.

Inizia per le comunità asine un periodo di relativa crescita economica proprio a partire dalla metà del Settecento, quando si registra il maggiore sviluppo demografico grazie alle attività commerciali e anche alla pastorizia: tra Clauzetto e Vito d’Asio nel 1767 si contavano 3.600 residenti, mentre a fine ottocento, prima dello smembramento, la pieve contava oltre cinquemila anime. Nel contesto di tale economia montana, dove ogni frutto della terra era conquistato a fatica e tutto il trasporto avveniva a spalle o a dorso di mulo, la pastorizia ebbe un suo peso specifico, e il formaggio “asino” un suo vero punto di forza: che la tradizione e la fama di tale prodotto fosse secolare si evince anche dal testamento di Francesco Savorgnan (1373) che documenta come la villa di Clauzetto dovesse annualmente consegnare al suo signore 119 libbre di formaggio, di fatto anche la principale dotazione delle Chiese, come la stessa San Giacomo, cui si aggiungeva il vino, per lo più bianco.

Clauzetto si distingue inoltre per essere un territorio particolarmente ricco di vocazioni ecclesiastiche in virtù di una propensione all’istruzione letteraria e scientifica dei suoi abitanti, esprimendo una cultura che si esplica chiaramente nel corso dei secoli in pregevoli opere di architettura e arte sacra: come ben sottolinea Ippolito Nievo nelle sue Confessioni in merito alla presunta potenza del clero locale nell’ambito della diocesi di Concordia, potenza anche numerica soprattutto nel corso dell’ottocento, Clauzetto diede i natali a illustri uomini di chiesa. Tra questi spicca Daniele Concina (Clauzetto, 1687-Venezia, 1756 ) frate domenicano noto per i suoi studi e pubblicazioni di filosofia e teologia, stabilitosi a Venezia, e soprattutto per la sua fama di predicatore e polemista, all’epoca propugnatore della corrente rigorista propria del suo ordine opposta al probabilismo dei gesuiti. Giovanni Domenico Rizzolati nativo della borgata Corgnâl, (Clauzetto, 1799-Roma, 1862), francescano, fu invece missionario in Cina vescovo di Aradia e vicario apostolico delle province di Huquang.

Tra le opere conservate nella Pinacoteca udinese, pervenuta per acquisto nel 1890 da Gio. Battista Politi, si conserva anche una copia del ritratto del canonico Giovanni Politi (Pinzano al Tagliamento, 1738-1815) esponente di un’antica e agiata famiglia originaria di Dominisia, eseguito dal nipote Odorico figlio del fratello Giacomo (olio su tela, cm. 55X43). Conseguita la laurea in diritto a Padova nel 1763, venne nominato dal vescovo di Concordia, Luigi Maria Gabrielli, professore di lettere al Seminario diocesano di Portogruaro. Resse la parrocchia di Vito d’Asio e nei suoi ultimi anni divenne canonico del capitolo di Concordia e vicario generale della Diocesi. Scrisse in nove tomi un trattato Iurisprudentiae Ecclesiasticae Universale, edito a Venezia nel 1787 e accolto favorevolmente da papa Pio VI.