Mario Ceconi di Montececon

Figlio di Giuseppina Novak e di Giacomo Ceconi (Pielungo,1833-Udine,1910) di professione impresario e costruttore, nominato conte di Montececon per meriti acquisiti grazie alle sue imprese al servizio dell’imperatore Francesco Giuseppe, Mario Ceconi di Montececon (Trieste, 21. 3. 1893-Milano, 11.4. 1980) cresce nel castello costruito dal padre a Pielungo, compiendo gli studi liceali e prendendo lezioni di pittura da Pietro Fragiacomo a Venezia.

Si dedica alla scultura “da autodidatta” come dichiara nelle sue biografie (I. Reale, Mario Ceconi di Montececon, Sculture dall’ombra, cat. d. mostra, Udine 1994), avendo sotto gli occhi l’esempio di Alfonso Canciani apprezzato dal padre Giacomo che gli commissiona nel 1906 le quattro sculture con statue di poeti a decoro della facciata del castello di famiglia, e conoscendo da vicino, grazie a soggiorni di studio a Parigi, Monaco, Firenze, l’opera di Rodin oltre che la scultura di Donatello e Michelangelo. Esordisce esponendo il Ritratto della madre al Salon d’Automne a Parigi nel 1912 e l’anno seguente figura tra i giovani artisti che alimentano la fronda dei “ribelli di Ca’ Pesaro” a Venezia con l’Uomo-Dio che presenta anche al Glaspalast di Monaco.

La sua prima personale alla II Secessione romana del 1914 e l’anno seguente alla III edizione della Secessione, dove espone opere come La visione della monaca morta e Transumanazione di ispirazione dantesca, lo segnalano all’attenzione della critica per la visionarietà ispirata, di gusto simbolista, e per la modellazione liberamente dialogante con lo spazio e con la luce, anche influenzata da Medardo Rosso nel ricorso al “non finito”. Negli anni Venti rilegge la plastica rinascimentale e aderisce al gusto del Novecento nella ritrattistica monumentale, ricompattando i volumi, ricevendo l’incarico per una statua dell’Agricoltura per il Palazzo della Civiltà all’EUR. Alla Biennale veneziana del 1934 e alla II Quadriennale romana presenta ritratti femminili imperniati sul concetto novecentesco di “costume moderno”, e si dedica alla ideazione di giocose figure di evocazione mitologica, ispirandosi anche ad Arturo Martini, che virano negli anni tardi verso il grottesco e la metamorfosi dando vita a una prolifica vena animalista. Sue opere si conservano nelle collezioni museali di Udine, Trieste, Gorizia e Pordenone, a Roma alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e al Museo storico della Fanteria, a Milano a Castello Sforzesco e in altre collezioni pubbliche e private.

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