L’eredità del Pilacorte

Dalla scuola di Pilacorte uscirono dunque diversi artigiani che poi operarono per conto proprio: a bottega a Spilimbergo allevò nel 1496 per cinque anni Pietro di Giovanni Antonio lapicida da Carona, poi attivo a Portogruaro; e sempre a Portogruaro vediamo attivo un lapicida di Meduno, Vittore q. Domenico Vittore, anche lui legato ai modi di Pilacorte; documentato a Sequals il lapicida Stefano che nel 1523 costruì la pila dell’acqua santa per la Chiesa di Santa Marizza di Varmo e nel 1521 lavorò nella ricostruzione della chiesa parrocchiale di Sant’Andrea di Castions di Zoppola. Sempre a Sequals troviamo Tomaso Cristofori (1696), Antonio Cristofori (1763), ed altri ancora. A Fanna il M.o Battista e Giovanni bergamasco (XVI sec.) A Domanins il maestro Gioseppo Spizapiera (1568). Nei secoli seguenti sono attive a Pinzano le botteghe dei Sabbadini e dei Comiz o Comici (1750), scultori e ataristi. A Dardago, nel Seicento e Settecento vediamo fiorire le botteghe dei lapicidi Antonelli e Janna. Sulla loro scia si formarono, dopo aver lavorato per un certo numero di anni nelle loro botteghe, una vera e propria schiera di tagliapietre e scalpellini che si spinsero negli anni successivi in tutti i quattro angoli della terra.

Tanti seguaci dei modi del Pilacorte e collaboratori diedero dunque vita in loco, spesso localizzandosi presso quelle cave di pietra disseminate lungo la fascia pedemontana, da Travesio a Meduno, Sequals, ad Aviano, a una lunga tradizione artigiana che nei secoli si consoliderà in un solido mestiere per tanti scalpellini impiegati nell’edilizia, ma anche avviando all’arte valenti scultori della pietra, che porteranno avanti la tradizione dello scalpello almeno fin tutto l’Ottocento, dall’accademico De Martin, nativo di Toppo di Travesio, stretto collaboratore di Canova a Enrico Chiaradia, autore del monumento a Vittorio Emanuele II per il Vittoriale.