Clauzetto, Chiesa di San Giacomo

Dipendente dall’antica Pieve di San Martino d’Asio, la Chiesa di San Giacomo per evidenti motivi di maggiore vicinanza all’abitato di Clauzetto divenne ben presto sede del pievano assorbendone la cura delle anime.
Citata per la prima volta nel 1417 in un documento redatto in occasione di un legato, venne ampliata dal pievano Giovanni di Arba, lo stesso che eresse la pieve di San Martino, e nei primi del Cinquecento fu circondata da un cimitero, mentre nel 1552 vi erano già conservati l’eucarestia, gli oli santi ed era dotata di fonte battesimale.

Tra le prime notizie relative alla presenza di opere d’arte in San Giacomo, emerge un contratto stipulato nel novembre del 1521 da Pilacorte (vai a biografia), al tempo dimorante a Travesio, per la realizzazione di un’ancona in pietra scolpita (vai a Pilacorte ritrovato), colorata e dorata, con figure di varia dimensione e ornati, da realizzarsi per la Chiesa in due anni, che venne di fatto ultimata nell’ aprile del 1523. Si precisa in tale contratto, sottoscritto dal notaio Pietro Scraibero (Archivio di Stato Pn, not. 1339/9386, fsc. 2, cc, 10v-11r) che la pietra sarebbe dovuta pervenire da “Giovanni Candussii” di Travesio, ovvero scelta da una particolare cava di Travesio.

Nel 1578 furono acquistate le campane e la visita pastorale del vescovo Cesare de Nores, il 25 settembre del 1584, attesta l’esistenza di tre altari: il maggiore dedicato al SS. Sacramento, l’altare di San Giovanni Battista, con la omonima Confraternita, e quello di San Giacomo. Tra le prescrizioni conseguenti a tale viene indicata la costruzione di un tabernacolo in legno dorato e una copertura per il battistero, da recintare con una cancellata in legno. La Chiesa venne quindi riedificata tra il 1610 e il 1618, reggente il pievano Giovanni Mazzarolli originario di Conegliano, e in tale occasione dotata di una nuova sacrestia, come si legge sull’architrave della porta a destra dell’altare maggiore, “JOANNES MAZZARO us CONEGLIA sis PLEBANUS 1618”. La stessa data si legge sulla architrave della finestrella esterna in corrispondenza di questo spazio che in antico ospitava la cappella dedicata al Santissimo Sacramento e al cui interno si conservano ancora due archi a tutto tondo in pietra, ora murati nella parete a ovest; sull’architrave della sacrestia di sinistra si legge invece “LAUS DEO SEMPER 1563”, data che rimanda all’epoca del pievano Leonardo Fabricio. Nel 1625 venne formalmente trasferito l’ufficio plebanale da San Martino, pertanto anche la benedizione del cero pasquale si sarebbe fatta da quell’anno in poi a San Giacomo.
Sempre con riferimento alla visita del vescovo Matteo II Sanudo, viene documentata nello stesso anno l’esistenza di due nuovi altari, un secondo dedicato a San Giacomo come l’altar maggiore, e uno consacrato a San Valentino. Nel 1639, sempre per iniziativa di Mazzarolli, l’edificio viene ingrandito e fondato il campanile. La campana grande, fusa per l’occasione, venne benedetta insieme alle altre due minori già esistenti, dal vescovo Cappello nel 1643. Fu poi la volta del pievano Giovanni Battista Ceconi che intorno alla metà del secolo rifece la pavimentazione con lastre di pietra provvedendo anche per le sepolture interne dei sacerdoti, il coro in legno, dotando gli altari di adeguata suppellettile, e acquistando nel 1654 il Gonfalone di San Giacomo: seguirono la consacrazione della pietra dell’altare di san Giacomo quindi, nel 1665, l’erezione dell’altare in onore di Sant’Antonio da Padova e la costruzione di una scalinata di accesso alla chiesa in pietra ultimata nel 1696, data incisa su un frammento di basamento ora collocato alla sinistra del primo gradino.

Ampliata nel secondo decennio del Settecento dal pievano Giovanni Battista Perusini che completò la terza navata a sud rialzando il tetto, lasciando nella zona abisdale tre aperture trilobate di cui ora rimangono solo le due laterali. Conclusi i lavori, la Chiesa venne consacrata il 9 novembre 1727 dal vescovo di Concordia Jacopo Maria Erizzo che in tale occasione, narrano le cronache, si arrampicò per una scala esterna fino alla cella campanaria per benedire le campane fatte fondere da un fonditore di Venezia sul posto nel 1712, anno stesso dell’insediamento del pievano Perusini, mentre il campanile fu completato solo nel 1732 per opera del capomastro Quettaro di Rivalpo nella Carnia (Gio Batta Quedri). Come da disposizioni del vescovo, i vecchi altari lignei furono quindi sostituiti in pietra e marmo, senza badare a spese, e il pievano Giovanni Antonio Cavallutti, sostenuto da generose elargizioni dei suoi fedeli e soprattutto di Antonio Politi, si avvalse degli scultori udinesi Mattiussi, facendo inoltre nuovamente lastricare il pavimento con riquadri in pietra tagliata a regola d’arte che sostituirono i precedenti in ardesia, e acquistando nuovi banchi intagliati in noce. Oggi a pavimento si leggono ancora tra le lapidi tombali quella con lo stemma antico dei Concina, famiglia originaria di Clauzetto.

La chiesa di S. Giacomo fu considerata per un certo tempo, fino agli inizi di questo secolo, come un santuario del Preziosissimo Sangue, per via di una reliquia, un lembo di tessuto intriso del sangue della Passione del Cristo, che sarebbe stata donata da un illustre patrizio veneto, ambasciatore a Costantinopoli, a un clauzettano di nome Cescutti; la reliquia, che è dotata della patente di autenticità rilasciata dal patriarca (di Venezia) Foscari in data 28 maggio 1755, è stata donata dalla famiglia Cescutti alla chiesa di S. Giacomo su suggerimento del pievano Giovanni Antonio Cavallutti e richiamò ben presto folle di fedeli anche da oltre confine. La visita pastorale del vescovo Gabrieli del 1764 ci indica la prima data relativa a tale presenza tra le reliquie della Chiesa. La devozione verso il Preziosissimo Sangue sorta già nel settecento, cui venne attribuita efficacia taumaturgica favorì pratiche di esorcismo verso gli indemoniati e spiritati, tanto che il governo austriaco fin dal 1848 proibiva i pellegrinaggi degenerati in superstizione. Una volta all’anno gli “spiritaz” accorrevano a Clauzetto durante la messa “del perdon” celebrata la domenica precedente la festa dell’Ascensione: il rito consisteva nel far bere un po’ di acqua che era stata benedetta la vigilia dell’Epifania onde scacciare il maligno dalle sue vittime. Nel venerdi di Passione, già consacrato al culto del “Preziosissimo Sangue”, la solenne processione rituale detta “del Perdon”, sino alla prima metà del Novecento richiamò folle di pellegrini anche dalle regioni limitrofe e da oltralpe. Oggi la devozione si celebra nella ricorrenza dell’Ascensione o del “Perdon Grande” con una solenne processione che attraversa le vie di Clauzetto.

Collocata in posizione elevata, raggiungibile salendo 98 gradini che le pratiche penitenziali suggerirebbero di fare in ginocchio, lungo una scenografica scalinata terminante con due piramidi laterali edificata in pietra artificiale nel 1913 su iniziativa di un comitato apposito dall’impresa spilimberghese di Romano Mirolo, la Chiesa di San Giacomo gode di una spettacolare vista panoramica sulla sottostante vallata e domina il paese di Clauzetto con la sua ampia facciata timpanata, corrispondente alle tre navate, scandita attualmente da un rosone centrale, tra due finestre e due oculi sovrastanti gli ingressi laterali, che hanno preso il posto negli anni trenta del secolo scorso di due lunettoni. Le campane vennero fuse nuovamente nel 1920, come inciso sulla campana, dalla storica ditta Luigi Cavadini e figli di Verona, nota per l’alto livello di resa acustico-musicale, e al tempo sotto la direzione di Ettore Cavadini, che alle sue campane, tra cui quelle per la cattedrale di Verona o la Campana dei caduti di Roveredo, seppe conferire un suono ancora più preciso.

Nel 1957, per iniziativa di un comitato e grazie alla donazione di quote latte, si attuarono importanti lavori di risanamento del tetto, le cui travi erano marce, (don Livio Concina ): a redigere il progetto viene incaricato Attilio Zannier, supportato dall’impresa Giacomello di Spilimbergo. In tale occasione al bianco settecentesco del soffitto, che si animava lungo le pareti di una decorazione ottocentesca neo-barocchetta monocroma, si sostituisce una decorazione policroma affidata al decoratore Giuseppe Modolo, originario di S. Lucia di Piave, e attivo in altre chiese come a Cimolais e Prata di Pordenone, qui coadiuvato da un suo abituale aiutante, Annuto Zanardo: le raffigurazioni lungo la navata centrale erano ispirate alla dedicazione al Preziosissimo Sangue (Crocifissione, l’Agnello sacrificale, la Messa di Bolsena) e sono andate perdute salvo un episodio, a causa del terremoto del 1976. Nel coro, entro spicchi ogivali, è visibile l’ affresco raffigurante un’Annunciazione realizzato nel 1949 da Virgilio Tramontin (San Vito al Tagliamento, 1908-2002), noto soprattutto per l’attività di acquafortista e di docente all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Sempre in occasione dei lavori di risanamento, venne anche rifatto il pavimento del coro per opera e dono di Pietro Fabrici, impresario a Milano, e la balaustra in marmo rosso e bianco di Verona per opera di Leonardo Franz di Spilimbergo. Venne inoltre smontato in tale occasione il vecchio organo che era stato donato da Natale e Pietro Fabrici nel 1838, negozianti in Trieste e nativi di Clauzetto, costruito da Giovanni Battista De Lorenzi, famoso organaro veneto, cui si deve l’invenzione dell’organo fonocromico, e le canne vennero consegnate alla ditta Zanin di Codroipo per la realizzazione del nuovo strumento. Il 2 giugno 1957, a un secolo esatto dall’istituzione della Congregazione del Preziosissimo Sangue veniva celebrata solennemente con l’inaugurazione della Chiesa anche la Festa del Perdon Grande.

Il Battistero (vai alla scheda)

Entrando lungo la navata sulla sinistra, la prima opera in cui ci si imbatte è il battistero ligneo (1672-73), già presso la pieve di san Martino, definito “il più prezioso esempio del genere che il Friuli conservi.” Di rilievo la copertura in legno di noce scolpita da “Zuanne di Gemona”, intagliatore gemonese come attesta un pagamento, già identificato con Giovanni Vincenzo Comuzzo da Gemona (Gemona, 1622-1681 c.) e più recentemente col gemonese Giovanni Comoretto. La sua struttura architettonica estremamente elaborata, con copertura esagonale a forma di tempietto, presenta in tre delle sei facce episodi in altorilievo dalla vita di San Giovanni Battista, il Battesimo di Gesù nella portella di apertura, il banchetto di Erode e la decollazione e due scene ricche di dettagli con paesaggi con città murate chiese e architetture con edifici urbici composti capricciosamente.

All’imposta della calotta corre una balaustrina su cui posano quattro dei sei angeli che coronavano in origine la cupoletta terminante con la figura del Battista nell’atto di battezzare con la conchiglia in una mano e la croce nell’altra, figura questa, come alcuni degli angeli, di più recente realizzazione rispetto al complesso ligneo. Girali fitomorfi,testine, volute e ornati arricchiscono animando il rilievo di un enfasi pienamente barocca, che non lascia spazi vuoti, indirizzando lo stile dell’autore a quella fucina gemonese di virtuosi dell’intaglio che faceva capo a Gerolamo Comuzzo e alla sua bottega famigliare. Tale opera poggiava in origine sul fonte battesimale nella pieve di San Martino e ora su una più recente coppa: molto danneggiata dal terremoto del 1976, ora è priva di due angeli e del coronamento inferiore.

L’interno
La Chiesa, scandita all’interno da tre navate, è adorna di sette altari, tre dei quali opera degli scultori udinesi Giuseppe e Giovanni Mattiussi, corrispondenti alla descrizione della visita pastorale del vescovo Pietro Carlo Ciani nel 1820, che esibiscono oltre ai marmi la varietà policroma delle pietre di cava locali e la maestria degli scultori e pittori che qui operarono: in particolare si contraddistinguono per le pale marmoree, per la statuaria e per l’importanza delle opere pittoriche.

L’altar maggiore dedicato a San Giacomo, dalle forme aperte e mosse dalla plastica barocca secondo i dettami stilistici del pieno Settecento e contrassegnato dalla varietà dei marmi, opera di Giacomo Pischiutti, gemonese, è decorato ai lati da due Angeli in pose dinamiche che rompono la simmetria mentre il tabernacolo marmoreo è sormontato dalla figura del Cristo risorto.

Lungo la navata sinistra, l’altare di Sant’Antonio da Padova conserva la statua del Santo col bambino in marmo, donata da Antonio Politi; opera di Francesco Sabbadini del 1773, l’altare esibisce, analogamente a quello della Madonna del Carmelo, la pietra a fondo grigio scuro estratta dalle cave del paese, chiazzata di macchie bianchissime, pietra dura che acquista una lucidezza pari a quella dei marmi più pregiati.

Lungo la navata sinistra il secondo altare dedicato delle anime purganti e alla Madonna del Soccorso (1746), opera di Giuseppe e Giovanni Mattiussi, è ornato da una pala marmorea raffigurante in altorilievo la Madonna del Rosario col Bambino, animata da una moltitudine di figure aeree percorse da vivace dinamismo. Alla base delle due colonne che lo inquadrano, compaiono due rappresentazioni simboliche con viti maritate ad alberi, secondo le modalità della coltivazione del tempo.L’altare venne eretto a spese di Giovanni Antonio Politi, padre dell’arciprete Giovanni, al quale si deve anche l’edificazione della casa presbiteriale. Un disegno in collezione privata, recante la scritta che l’opera sarebbe autografa proprio di Gio.Antonio Politi, traccia le linee portanti della stessa composizione figurativa, cui più tardi si ispirò lo stesso nipote, il pittore Odorico Politi, per una pala collocata nel 1838 nella Chiesa di San Michele a Vito d’Asio. Il paliotto della mensa presenta una mossa raffigurazione di richiamo barocco ispirata al memento mori ancora legato a modelli secenteschi, esibendo un apparato di scheletri e simboli della caducità umana, quali il teschio o la clessidra.

Segue, a sinistra dell’altare maggiore, l’altare della Beata Vergine del Carmelo dal frontone spezzato e dalle colonne in pietra grigia e bianca cavata in loco, che custodisce nel tabernacolo la venerata reliquia del Preziosissimo Sangue, e una pala raffigurante Madonna del Carmine con i Santi Floriano, Valentino, Lucia e Apollonia, di evidente ispirazione piazzettesca (olio su tela, cm. 191×87). Raffigura la Madonna seduta su una nube che sostiene il Bambino in atto di porgere due scapolari al Santo inginocchiato sulla sinistra in abiti sacerdotali identificabile con San Valentino di cui la Chiesa era dotata di una reliquia e in antico di un altare dedicato al santo con relativa Confraternita; dietro di lui con lo sguardo diretto verso lo spettatore, spunta San Floriano col bue ai suoi piedi; dalla parte opposta in basso Santa Apollonia e un po’ più in lato Santa Lucia, entrambe con i simboli del loro martirio. Puntuali sono le riprese dalla Madonna col Bambino tra Santi di Piazzetta collocata nella parrocchiale di Meduno nel 1745, e commissionata proprio da Andrea Mazzarolli, anche pievano di Clauzetto: il zigzagare della composizione, a partire dalla figura di tre quarti inginocchiata a sinistra, alle diverse altezze con cui sono distribuiti i volti dei santi, nonché le posture, le fisionomie e le ombre espressive, fino al biancore della nube su cui posa il piede la Madonna, rimandano a quella scuola, e di fatto la tela era attribuita anch’essa all’Angeli, tuttavia il volto della Madonna dal capo velato e la postura del Bambino rimandano in particolare, pur all’interno di questa stessa bottega piazzettesca, ai modi di Antonio Chiozzotto (1719-1790), pensando in particolare alle pale da lui dipinte per Marano Lagunare. È probabile dunque che la scomparsa del Piazzetta nel 1754 abbia indotto i committenti a “ripiegare” sui suoi più stretti collaboratori all’interno della sua organizzatissima bottega veneziana.

Alla destra del coro, l’altare del Rosario, ornato da quattro colonne policrome rivestite in marmo di Sicilia, conserva fin dalle origini la scultura della Vergine col Bambino in ceroplastica settecentesca, entro una cornice dorata, mentre sul paliotto è raffigurata la Madonna del Rosario tra San Domenico e Santa Caterina, secondo la tipologia della Madonna di Pompei.

Un secondo altare di San Giacomo apostolo, titolare della Chiesa, realizzato da Giuseppe Mattiussi nel 1771-74 e collocato lungo la navata destra, conserva una pala marmorea in marmo bianco raffigurante a mezzo rilievo il Santo tra voli d’angeli sullo sfondo di un paesaggio turrito, figura riproposta nel paliotto tra ampie volute rococò.

IL RITORNO A CLAUZETTO
L’altare di San Giovanni Battista (1769-1774 c.), lungo la parete sud della Chiesa, è il terzo altare realizzato dai Mattiussi, la cui pala marmorea a bassorilievo raffigura il Santo con la conchiglia in mano e il bastone, tra teorie d’angeli e l’agnello ai suoi piedi; nel paliotto è raffigurata la sua decapitazione. La pala venne sostituita nel 1824 da un dipinto donato da Odorico Politi e poi rimosso, dipinto che a seguito del terremoto del 1976 venne messo in salvo presso il Musei pordenonesi e che nell’aprile 2016, dopo quarant’anni, a seguito di una petizione popolare promossa attraverso il gruppo facebook “Sei di Clauzetto se”, è stata ricollocata a parete lungo la navata destra della Chiesa.
Il pittore Odorico Politi aveva donato nel 1824 la pala con San Giovanni Battista per la Chiesa di San Giacomo di Clauzetto in omaggio alle origini della sua famiglia, arricchitasi in particolare con il commercio del legname che faceva fluitare attraverso il Tagliamento. L’opera venne collocata il 19 settembre 1824 presso l’omonimo altare con una presentazione dell’ abate Giovan Battista Rizzolati, professore di lettere al Seminario di Concordia, e arciprete di San Martino/ pubblicato l’anno successivo come Orazione in elogio della famiglia Politi in Udine trapiantata detto il 19 settembre 1924 in occasione che fu esposta in Clauzetto a pubblica venerazione la pala di San Gio. Battista opera e dono del valente pittore Odorico Politi. In tale occasione vengono citati i vari personaggi della famiglia, tra cui vari prelati benemeriti e soprattutto la generosità di Antonio Politi, antenato dell’artista, già ricordato come donatore degli altari alla Vergine, alle Anime Purganti, e promotore degli altari di San Giovanni e San Giacomo e della scultura di Sant’Antonio da Padova.

La figura, imponente e monumentale, con il braccio sinistro alzato in atteggiamento oratorio e l’altro reggente l’asta della croce, lo sguardo dritto e fiero, è un esplicito omaggio al Battista dipinto da Tiziano per la Chiesa di Santa Maria Maggiore a Venezia e quindi trasferito nel 1807 tra le collezioni delle Gallerie dell’Accademia: l’opera fu oggetto di studi e di copie da parte di più generazioni di allievi dell’Accademia stessa, intenti a studiare i modelli cinquecenteschi della scuola veneta, e un antesignano di questo revival fu proprio Politi, presto transitato dalla copia dall’Antico di impostazione neoclassica alla riscoperta della tradizione pittorica lagunare e del suo colorismo. La fortuna della stessa pala indusse Politi a riproporre altre due versioni dello stesso soggetto, nel 1833 per la Parrocchiale di San Ulderico a Pavia di Udine e nel 1842 l’ultimo della serie venne ceduto dagli eredi dell’artista per essere collocato nella Chiesa di San Giacomo a Billerio, con minime varianti compositive.

Biografia di Odorico Politi

Tra le pale d’altare ora addossate alla parete nord della Chiesa, anche il Transito di San Giuseppe (olio su tela, cm. 187×95) di Giuseppe Angeli (Venezia, 1710-1798), che già ornava l’altare di San Giuseppe di Dominisia, eretto e decorato per iniziativa di don Giacomo Politi, e qui portata per motivi di sicurezza e conservazione. Sintomatico come del resto la pala per l’altare del Carmelo, Madonna del Carmine con i Santi Floriano, Valentino, Lucia e Apollonia, della penetrazione del linguaggio piazzettesco in terraferma, essendo l’artista uno dei suoi più stretti collaboratori nella fiorente bottega veneziana di Giambattista Piazzetta. Angeli fu spesso infatti attivo in Friuli, tra Udine, Cussignacco e Cividale.
Vi è raffigurato San Giuseppe i cui attrezzi da lavoro sono abbandonati nel primo piano, inginocchiato e appoggiato alla Madonna rivolta con sguardo implorante al cielo, tra angioletti uno dei quali reggente la verga fiorita simbolo del santo, alla presenza del Cristo benedicente. La tavolozza si articola giocando su un fondo monocromo, neutro, su tonalità basse, sulle mezze tinte, con un colorismo contenuto, tra azzurri polverosi, ocra, e il morbido gioco delle ombre è alleggerito da una luce fluente e diffusa che piove dall’alto sui bianchi della camicia del santo e sui risvolti del suo mantello, generando un’atmosfera di raccolta e sommessa meditazione.

Altre sculture sono collocate presso la Chiesa, come una scultura lignea di San Giacomo settecentesca, proveniente dall’ Ancona di Val, con pesanti ridipinture, o la statua del Cristo, in legno laccato in bianco e oro, opera datata 1934 di Scalambrini, e due doppieri con figure di angioletti ornano i lati dell’abside per opera, come la cornice scolpita e dorata mossa da forme neo-barocchette che troneggia nell’altare del Rosario, realizzate nel 1902 dall’intagliatore sandanielese Pietro Bertoli. Due pile dell’acquasanta, una delle quali datata al 1690 e in marmo rosso, completano gli arredi sacri.
Ricca di preziosi paramenti e suppellettili sacre, è la dotazione, per lo più di provenienza veneziana, come attesta la presenza di punzoni degli argentieri, preservata dalle spoliazioni: si conserva un basamento di Croce, datato al 1594, adattato, un bronzo decorato a cesello con motivi vegetali stilizzati ad imitazione dell’arte islamica in auge nella Venezia cinquecentesca, due lampade pensili di cui una datata al 1689 e restaurata nel 1750, e soprattutto varie testimonianze settecentesche, come due vasi gemelli da altare per fiori, in argento, una serie completa di tre cartegloria, in argento, contrassegnate dall’immagine di San Valentino, una lampada pensile sempre in argento, datata al 1796, da cappella e di grande finezza tecnica, caratterizzata da quattro figure di angioletti seduti sul bordo della lampada che trattengono le catenelle di sostegno.

Le fonti storiche attestano inoltre varie donazioni come nel caso del pievano Pietro Antonio Mazzarolli che, alla sua morte nel 1838, legò alla Chiesa “una ricca pianeta in ricamo d’oro con bellissimo camice”, e un messale fornito di borchie d’argento; o nel caso di Giovan Battista Rizzolati, donatore di un ostensorio commissionato apposta per San Giacomo.

FOTOGRAFIE