A Pordenone

Pilacorte viene chiamato nel 1511 a intervenire sulla facciata del Duomo di Pordenone limitandosi però a realizzare solo il portale rispetto al più ambizioso progetto che aveva già elaborato nel 1501 come documentato dal disegno conservato presso la Biblioteca Comunale di Udine, e che potrebbe riferirsi proprio al Duomo pordenonese. In questo disegno un prospetto terminante con un arco pieno raccordato al corpo inferiore da due mezze lunette è caratterizzato da un ampio rosone centrale con decorazioni goticheggianti sopra un portale archivoltato e sormontato da una lunetta. Si tratta di un’impostazione che richiama le facciate veneziane del Coducci come San Michele in Isola o la facciata della Chiesa Parrocchiale di Sedrina ma con minore chiarezza e proporzione spaziale, come si evince dal sovradimensionamento del rosone rispetto alle partiture architettoniche del prospetto.

Impostato secondo lo schema rinascimentale con il frontone semicircolare poggiante su una trabeazione e pilastri dotati di basamenti composti da plinto e dado sovrapposti, il portale del Duomo di Pordenone realizzato da Pilacorte è unanimemente ritenuto uno dei più riusciti esempi del Rinascimento in Friuli, sia per la parte plastica ma soprattutto per le invenzioni decorative e figurative che animano gli stipiti con bassorilievi di squisita fattura che alludono allo scorrere ciclico del tempo. Il Cristo passo, tra due angeli piangenti, e la statua di San Marco sopra il frontone, coronano il portale, mentre all’interno del Duomo si conservano una sontuosa pila per l’acqua santa (1508) e il fonte battesimale concepito a tempietto che rinnova la tipologia in uso (1506). L’iscrizione incisa sulla parte interna della base del pilastro sinistro attesta che il portale venne realizzato nel 1511. 

L’eccezionalità di questa iconografia sta nella ricchezza delle fonti, che rinnovano la tradizione medioevale e tardo medievale alla luce delle nuove istanze umanistiche inglobando il repertorio della classicità, giocando dunque su più registri, dalla successione dei mesi e dei lavori agricoli allo zodiaco a riprese mitologiche e allegorie classicheggianti. L’idea che plasma l’opera, ovvero lo scorrere del tempo e l’ordine divino che lo sorregge, si presenta come una summa di simboli e scene con intenti didascalici e va letta partendo dal basso, con scene dalla Genesi, proseguendo in ordine alterno, da destra a sinistra, nel succedersi dei segni zodiacali, per elevarsi fino al frontone con l’Ecce homo tra angeli dolenti e San Marco benedicente.

Alle personificazioni dei mesi, di derivazione greco-orientale, si affiancano scene legate soprattutto alle attività rurali dell’anno, di ascendenza latina, non sempre peraltro di univoca significazione: nella sequenza temporale si parte a destra con l’Ariete affiancato da una panoplia connessa al Dio Marte, per poi continuare quindi sullo stipite sinistro con il Toro collegato al mese di Aprile, rappresentato da tre figure femminili, una delle quali spunta da una conchiglia, allusive a Venere, ma anche a Flora e alle tre Grazie; proseguendo a zig zag, segue il segno dei Gemelli accanto a un animale simbolico reggente una fiaccola, forse un grifo allusivo ad Apollo, quindi il Cancro affiancato a una falce messoria, il Leone affiancato da uno dei ben noti visi di putto da cui a mo di sole si dipartono raggi, mentre la Vergine, che regge una palma, è affiancata da un gallo che brandisce uno scettro, simbolo del dominio sulla Luce di Apollo. La bilancia è abbinata come segno zodiacale ad una figura femminile intenta a riempire sacchi contenenti l’uva, alludendo al mese di settembre. Lo Scorpione è raffigurato accanto ad un’altra panoplia ancora riferibile al Dio guerriero Marte, mentre il Sagittario, segno di novembre, è simboleggiato da una figura femminile reggente una cornucopia e una fronda, simbolo di un raccolto abbondante. Il Capricorno che si appoggia su una sorta di grande contenitore in vimini intrecciato sorretto a fatica da una figura maschile, forse il sacco delle sementi, e infine l’Acquario è intento a versare il vino in un boccale per un contadino colto nel momento di affondare la sua zappa nella terra, accanto a un albero.
Alla base del portale sui plinti sono scolpite quattro scene che sintetizzano i sei giorni della Creazione del mondo e ovviamente Adamo ed Eva danno il via al succedersi in sequenza alternata, da uno stipite all’altro, dei simboli dei dodici mesi dell’anno, a simboleggiare l’eterno scorrere del Tempo.

Si tratta di un unicum iconografico in Friuli che pochi decenni dopo sarà affiancato, a pochi metri di distanza, ma questa volta a scandire il tempo laico, dai simboli delle stagioni e dei segni zodiacali nel quadrante dell’antico orologio della Loggia comunale. Pilacorte ricorre a un allegorismo colto, originale, che pesca nel suo immaginario pronto a prendere il volo a margine delle iconografie tradizionali, negli spazi lasciati liberi alla sua fantasia creativa, ma anche segue un programma complesso, certamente condiviso ed espressione di un ambiente culturale che ha come fulcro l’esperienza della cosiddetta Accademia Liviana, ovvero quella corte di amici letterati e dotti protetti da Bartolomeo d’Alviano, il condottiero che in cambio dei suoi servigi a Venezia contro gli imperiali, aveva ricevuto Pordenone in feudo nel 1506.

L’idea della ciclicità del tempo, dell’eterno ritorno e del sovrapporsi del calendario latino a quello medioevale, trova il suo culmine nella figura del Cristo, che con la sua sofferente umanità fa da raccordo tra cielo e terra, antico e nuovo testamento, diventando di fatto reggitore del tempo, secondo l’iconografia del Cristo Cronocrator: nella lunetta infatti, anticamente decorata con una raggiera, ovvero assimilando la figura di Cristo con quella di Apollo, dio del sole, si trova a tutto tondo il Cristo passo, vero fulcro compositivo, che conserva ancora tracce di doratura nella veste. Ai suoi lati due angeli dolenti e sopra la lunetta è collocato San Marco, il Santo Patrono benedicente: si tratta di sculture a tutto tondo, slanciate e animate da un composto movimento, dal panneggio morbido, con delicate evidenze naturalistiche nel trattamento delle vene nelle mani e nelle braccia del Cristo. Questa figura in particolare, vero capolavoro di Pilacorte, rivela un’espressione intensa, con la bocca e gli occhi socchiusi, il capo leggermente inclinato a sinistra, a barba e la capigliatura fluente secondo una tipologia che ricorda da vicino il Cristo scolpito da Tullio Lombardo per la Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, e in relazione con le opere che decorano la sommità della facciata della Scuola di San Marco a Venezia, realizzate dalla bottega di Pietro Lombardo.

All’interno del Duomo si trova anche il Fonte battesimale (1506) di impianto architettonico, una tipologia nuova rispetto all’ambito locale, “a tempietto” poi ripresa dalla sua stessa scuola nelle chiese suburbane pordenonesi come nel fonte battesimale di Sant’Ulderico di Villanova (1541 c.) , dove si conserva anche un altare lapideo, e Roraigrande, forse opera di Donato Casella. Ora collocato nella cappella dei Santi Pietro e Paolo, il fonte di Pordenone è impostato su un imponente rocco di colonna scanalata, alla cui base corre una decorazione incisa e in origine colorata, a sorreggere il catino sormontato da pilastrini reggenti una copertura a cupolino emisferico coronata dalla statua del Battista. Ancorate ai pilastrini percorsi dal fitto ornato a candelabre, erano le quattro portelle in pioppo dipinte con le storie del Battista dal Pordenone nel 1534 circa, conservate presso il Museo di Pordenone, poi internamente tappezzate da dipinti di altra mano ora al Museo Diocesano di Pordenone.

La pila dell’acquasanta (1508), in pietra di aurisina, reca alla sua base lo stemma di Brunoro Fontana, massaro del Comune, accanto a quello della Città, del capitano Nicolò Monticoli, e i quattro simboli degli Evangelisti: tra le opere più riuscite di Pilacorte, anch’essa si impone per la forza plastica delle sue componenti, per la robusta volumetria impostata sul gioco di forme concavo-convesse, dal rincorrersi ritmico e decorativo di scannellature e baccelli, ma anche per la qualità fine del suo intaglio nelle decorazioni a girali fitomorfi delle fasce, con un fregio composto da tritonesse e terminazioni fitomorfe.

Per la Chiesa di Santa Maria dell’Ospedale a Pordenone, attuale Chiesa del Cristo l’anno prima, nel 1510, era stato commissionato a Pilacorte il portale, la cui pietra era stata scelta con cura tra le cave di Travesio. Il portale venne successivamente eseguito da sue maestranze esemplato su quello di Sant’Elena a Venezia, compreso il gruppo statuario della Madonna col Bambino tra due angeli e il Padre Eterno benedicente al colmo dell’archivolto, che rimandano ai modi di Donato Casella. A Pordenone alla scuola del Pilacorte, forse al genero Donato Casella, si accostano anche una Madonna col bambino in corso Garibaldi, eseguita nel 1532, prossima per stile alla Madonna dell’altare di Vito d’Asio, il poggiolo di casa Mantica Tomadini, in via del Mercato, con testine negli angoli, simili a tanti altri poggioli figurati, come quelli che ornano il castello di Spilimbergo, ancora oggi sopravvissuti alla devastazione dei nostri centri storici.